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Materie prime

Il riso

Materia prima versatile, il riso, nelle sue diverse tipologie, è nel nostro DNA di lomellini. Parte integrante anche del nostro paesaggio, quel “mare a quadretti” che si specchia nel nostro cielo di Lombardia “così bello quando è bello” di manzoniana memoria. E Manzoni ha avuto modo sicuramente di ammirare lo spettacolo delle risaie, avendo soggiornato a Cassolnovo, dove, nella villa in cui fu ospite, gli è ancora tributata una stanza.

Principe di tutti i menù lomellini, casalinghi o professionali, non c’è ricorrenza o stagione che non abbia il suo risotto. Per non parlare delle minestre, minestrine e minestrone. È materia anche per dolci, anche se più conosciuti di quelli lomellini sono i pasticcini di riso toscani o le torte di riso emiliane.

Tipico vigevanese è un piatto né dolce né salato, che ricorda i porridge anglosassoni, il ris e latt. Ogni famiglia aveva la sua versione: la differenza stava nel pizzico di sale o di zucchero o di cannella, nella consistenza finale più o meno brodosa, nell’aggiunta di acqua al latte; variazioni che paiono banali ma che cambiano il profilo organolettico di questo comfort food prettamente serale.

Di riso si è detto e scritto parecchio, mi preme ricordare la manifestazione che si svolse a Vigevano per qualche edizione, curata da Slow Food, Rice, esperimento riuscito di mettere il riso al centro di eventi e dibattiti, non tralasciando la parte gastronomica, enoica e artistica.

Rice 2010

Intervista a "Chez Nadi", Cristiana e Domenico.

Posted by Chez Nadi on Tuesday, September 28, 2010
L’intervento di Nadia, anima di Chez Nadi, a Rice 2010

Quale riso?

Fondamentale per imparare a cucinare propriamente questa risorsa è conoscerne le principali categorie, per come si comportano in cottura e per come influenzano il risultato finale. Sarebbe opportuno acquistare il riso in almeno due tipologie, partendo dal presupposto che qui vi parlo delle varietà occidentali che derivano dall’Oryza sativa subsp. japonica.

Merceologicamente, il nostro riso è suddiviso in quattro categorie in base al suo aspetto fisico, alla forma cioè dei suoi chicchi. Abbiamo riso comune, semifino, fino, superfino. Viene poi commercializzato con il nome varietale: Originario, Rosa Marchetti, Ribe, Carnaroli per esempio. Non è che non possiate usare un riso qualunque di questi per fare qualsiasi ricetta, ma ovviamente il risultato cambierà.

Mio papà, lomellino delle cascine, utilizzava l’originario, che è un riso comune, ricco di amido, per fare il risotto “della domenica” con salsiccia e zafferano. Era un risotto “fisso” il cucchiaio ci stava in piedi, ma bello sgranato e croccante, con la crosticina nella pentola “della termica”.

Da Chez Nadi il risotto cambia ogni settimana, il riso però è in prevalenza, salvo puntate sporadiche su altre varietà o produttori, il Carnaroli da Carnaroli del Pavese dell’azienda agricola Domenico e Giuseppe Carnevale Giampaolo.

Ha dimostrato nel tempo una costanza qualitativa e una resa organolettica eccellenti, con ottima tenuta in cottura e sapore pieno ma delicato che lo rende adatto a tutti gli accostamenti, dai classici agli inusuali.

È difficile in Lomellina consigliare un produttore, ognuno ha un riferimento per conoscenza diretta o magari parentela. Se non è il vostro caso, lasciate perdere il riso generico sullo scaffale del supermercato: prendetevi il tempo per visitare qualche mercatino o qualche cascina, cucinate, assaggiate e giudicate.

Cercate di capire i metodi di produzione, l’etica del produttore, visitate le risaie nelle diverse stagioni, privilegiate le coltivazioni etiche e sostenibili.

Cucinate riso più volte alla settimana, provatelo in diverse cotture valutando resa e consistenze. Abbinatelo per tradizione e sperimentate: il risotto può essere una base neutra che esalta ingredienti diversi.

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Tradizioni

Beato Matteo

Anni ’60, si avvicina la ricorrenza del Beato, protettore della città. Le giostre sono piazzate nello spazio ora occupato dal parco Parri con pozzanghere da fare invidia all’attuale laghetto se il tempo come al solito si è guastato dopo aver lasciato festeggiare l’oca ai mortaresi: non importa che tempo abbia fatto prima, dopo il Beato Matteo sui letti compaiono gioco forza le coperte di lana.

Ogni famiglia si prepara a ricevere ed ospitare amici e parenti di fuori soprattutto, le tavolate sono numerose, le incombenze domestiche altrettanto. Bisogna “vestirsi di nuovo” per la messa della domenica, bisogna preparare per le persone che si sono invitate, siamo in pieno boom economico: la tavola rispecchia l’abbondanza da poco assaporata.

Per un pranzo tipo dobbiamo prevedere: antipasto con ricco vassoio personale riempito con cura dal salumiere di fiducia con tutte le varietà di salumi cotti e crudi, salame sotto grasso, carciofini, chiodini sott’olio, acciughe e sardine, insalata russa, antipasto rosso (vedi ricetta) e patè in gelatina (Milano insegna). Segue la “rustida” che ha fatto da base per il successivo risotto: carne di maiale a fette sottili con salsiccia e fegato sempre di maiale con cipolla e pomodoro. Poi risotto appunto cotto nel sugo della medesima, poi brodo prodotto per il risotto magari arricchito da ravioli (più frequentemente riservati al pasto serale o del lunedì), lesso e gallina ripiena, poi gli arrosti, vitello o anche fagiano per le famiglie dei cacciatori, brasato e almeno due contorni uno cotto e uno crudo, bagnetto profumato di estate e del proprio orto.

Come formaggio la tachella con la mostarda, comprate entrambe “sciolte” sempre dal salumiere (il supermercato è di là da venire). Dolce finale con il cabaret di paste comprato all’uscita della messa, col torrone rigorosamente Sebaste Gallo d’Alba e la torta fatta in casa (la “varulà o marmo dolce o bianca e nera per intenderci). Il vino è quello di tutti i giorni; concessione finale di vermouth da meditazione.

Menù certo affascinante ma forse improponibile ai nostri giorni, a meno di non farne una rivisitazione drastica in termini di quantità di grassi soprattutto. Certo è che poco di questa tradizione è rimasto sulle tavole dei vigevanesi di oggi. Chi ha intorno ai trent’anni e produce da sè ravioli fatti in casa? Chi è in grado di fare sempre in casa un’insalata russa? Intendo manufacendo anche la maionese? Si acquistano già pronte persino le verdure per i contorni, figuriamoci gli arrosti!

Passando attraverso gli anni settanta con le varianti vegetariane, gli anni ottanta con la celebrazione della cucina alternativa, gli anni novanta con il culto del tutto pronto, le tradizioni culinarie si sono come dileguate. Oggi un menù tipo rifugge certamente i salumi, troppo demonizzati e troppo presenti sulle tavole in forme snaturate come i preaffettati in busta hanno più ogni altra cosa fatto il loro tempo per la maggior parte delle persone, anche se andrebbero rivalutati nelle loro espressioni migliori, pretendendo sempre una qualità eccelsa che c’è e vale la pena di cercare e di pagare il giusto.

L’antipasto potrebbe quindi essere rappresentato da una torta salata naturalmente prodotta con pasta sfoglia surgelata o al massimo conservata in atmosfera modificata, manco a pensare di fare una semplice crosta di farina, acqua e olio extra vergine di oliva, migliore, più economica e nutrizionalmente perfetta oltre che filologicamente più appropriata. Seguita da un primo al forno, potrebbe essere una lasagna classicamente prodotta se siamo fortunati da un negozio di pasta fresca o da qualche artigiano locale, o dei cannelloni o delle crepes, suggestione anni ottanta che dura a morire.

Come secondo, un arrosto arrotolato attinto dal bancone di un supermercato già legato con gli aromi inclusi (alzi la mano chi sa legare un arrosto) oppure per i più abbienti un volatile ripieno già arrostito dalla polleria. In tempi di HACCP la mostarda sfusa ha il sapore dell’alcol dei tempi del proibizionismo e la tachella si vende anche nei negozi solo confezionata in squadrati cubetti da 100 o 250 grammi, 500 grammi nei supermercati alla faccia dei single.

Sopravvive il banco del torrone alla fiera quasi immutato in quarant’anni, possiamo ancora tuffarci in quel sapore per rivivere un po’ d’antan. Se sapete fare una torta in casa – senza ricorrere alla magia 9 torte – fatela per piacere, non è poi così proibitiva, se anche saltate la messa potete acquistare i pasticcini senza neanche fare la coda che inevitabilmente si formava allora, riscattate con la scelta di vini adeguata alle vostre nuove competenze enologiche il tenore del vostro pranzo e lasciate perdere il vermouth a favore di un bicchierino di marsala metodo soleras che accompagnerà degnamente il vostro dolce.

Spero che questa mia provocazione induca più d’uno a mettere mano al menù della festa del Beato Matteo, che lo programmi e lo progetti con cura, con un occhio alla tradizione ed uno alla leggerezza, con l’accortezza di scegliere solo materie prime di altissima e riconosciuta qualità, pensando che comunque chi più spende meno spende, nulla è troppo per il nostro benessere, siamo quello che mangiamo, vogliamo essere una torta salata dal ripieno schizofrenico o una fetta di culatello?

Antipasto rosso

  • 300 g di giardiniera di verdure miste ridotta a cubetti
  • 200 g tonno sott’olio
  • 2 cucchiai di doppio concentrato di pomodoro
  • 1 bustina di droghe miste (tipo Saporita Bertolini)
  • Olio extra vergine di oliva quanto basta

Mescolare tutti gli ingredienti il giorno prima e gustare in accompagnamento ai salumi.

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Materie prime

Zucca Bertagnina di Dorno

La zucca Bertagnina di Dorno è una DeCo presente anche nell’arca dei prodotti Slow Food.

I terreni di questa zona sono particolarmente vocati alla produzione di questo ortaggio e la varietà è ben riconoscibile per la caratteristica forma a “berretto”.

Presente da sempre negli orti casalinghi, deve la sua sopravvivenza all’ostinazione di privati che ne possedevano i semi. Dal 2004 è oggetto di un progetto di recupero che ha portato alla costituzione di un consorzio. Annualmente é protagonista di una sagra giunta alla 16 edizione nel 2019. È stata inserita nel paniere Pavese e nell’arca dei prodotti Slow Food.

Versatile e nutriente, si presta alla realizzazione di ricette dolci e salate dalle più tradizionali alle più innovative. È materia prima per risotti (sola o in abbinamento ad altri vegetali quali i funghi, ai formaggi, alle erbe aromatiche o alle spezie), creme, vellutate, zuppe, tortelli, gnocchi, malfatti, torte dolci e salate.

Si possono anche preparare composte dolci o salate, lievitati da forno, pane e birra.

La stagionalità della Zucca Bertagnina di Dorno va da settembre a dicembre come tradizione vuole. Tuttavia, gli esemplari migliori si trovano a inizio stagione e hanno pezzatura medio grande. Sceglietele pesanti, col picciolo grande, saldo, ben asciutto e facile da far “saltare” con un colpo di mano.

La zucca va poi tagliata e privata dei semi e della polpa morbida che li avvolge. I semi possono essere consumati tostati in forno e salati, da sgranocchiare come snack. Privati della buccia esterna si possono aggiungere come guarnizione a numerose ricette.

Per preparare passati e zuppe o per farla al forno si può lasciare la buccia avendo cura di lavarla bene, oppure va pelata. Per farlo più facilmente si può farla girare nel microonde a pezzi per un paio di minuti alla massima potenza. Una volta ammorbidita l’operazione risulterà più agevole.

Conservate le vostre zucche intere in un luogo asciutto e buio. Una volta tagliate, potete conservare la parte che non utilizzate immediatamente in frigorifero, proteggendo il taglio. Attenzione ad utilizzarla entro due o tre giorni. Se pensate di non riuscire entro questi tempi, potete prepararla tutta, anche se grossa. Con o senza buccia, come preferite, tagliatela a pezzetti o a fette. Fate poi congelare in freezer distesa su vassoi protetti da carta da forno. Una volta congelata potrete raggrupparla in sacchetti appositi e tenerla nel vostro freezer. Al bisogno, senza scongelarla, avrete a disposizione la vostra zucca già pronta.

Potete anche cucinarla con un goccio d’olio, sale e pepe, usando il coperchio per mantenerla umida, per una ventina di minuti. Quando sarà morbida alla penetrazione dei rebbi della forchetta spegnete il fuoco e passatela con il frullatore ad immersione o schiacciatela con lo schiacciapatate.

La purè ottenuta potrà essere base per diverse ricette e potrete anche congelarne a porzioni per un utilizzo futuro. Con questo lavoro preventivo sarà facile cucinare una crema o dei malfatti o una torta (salata o dolce).

Per il risotto preferisco utilizzare dei cubetti crudi di zucca da aggiungere interi al soffritto di scalogno (potete qui utilizzare i vostri cubetti congelati), proseguo poi con la tostatura del riso. Bagno con brodo vegetale, due mestoli per ogni etto di riso. Lascio sobbollire mescolando ogni tanto ed aggiungendo brodo se si asciuga troppo. E’ un risotto da tenere morbido, all’onda, mantecandolo fuori dal fuoco con burro di ottima qualità e Parmigiano Reggiano di buona stagionatura.

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Materie prime

Pomodori verdi

Anche i pomodori verdi hanno le loro applicazioni in cucina, vale la pena coltivarne qualche pianta in giardino per avere la materia prima per la preparazione di una gustosa e inusuale confettura, da accompagnare a lessi e formaggi. Se lasciato giungere a maturazione piena, il pomodoro rosso può invece essere utilizzato ad esempio in insalata o nella preparazione di sughi. Ecco qualche ricetta per valorizzarli.

Confettura di pomodoro verde alla vaniglia

  • Prendete 1 kg di pomodori verdi e riduceteli a striscioline eliminando i semi e l’acqua di vegetazione, lasciateli in un colino a perdere ulteriore acqua per un paio d’ore
  • Aggiungete ai pomodori messi in pentola 400 g di zucchero, una bacca di vaniglia (anche solo la parte esterna di una bacca di cui avete già utilizzato i semini) e il succo di mezzo limone
  • Mettete sul fornello a fuoco lento, cuocendo fino alla consistenza sciropposa della confettura. Per valutare lo stato della preparazione, potete eseguire la prova della goccia: ponete una goccia della confettura su un piatto freddo, inclinatelo e stimate la viscosità in base alla velocità di scorrimento
  • Invasate in barattoli puliti, asciutti e sterilizzati in forno a 100 °C per mezz’ora, avendo cura di lasciare un dito d’aria in cima. Completate con etichetta riportante la data di preparazione e conservate in frigorifero. Vi consiglio di fare piccoli vasi (con questa dose, almeno 5) per consumarli a breve dopo l’apertura.

Altri spunti

Se volete cimentarvi ulteriormente, avendo a disposizione altri pomodori verdi, potete farne una conserva salata preparandoli allo stesso modo, scottandoli in aceto a bollore con sale e aromi (basilico per esempio) e invasandoli dopo averli fatti raffreddare su un canovaccio con buon olio extra vergine di oliva. Così preparati, potrete gustarli in accompagnamento a salumi.

Un altro modo di gustare i pomodori verdi, come insegna un famoso film, è di friggerli. Tagliate in questo caso rondelle spesse mezzo centimetro, asciugatele e passatele nella farina, poi in uovo sbattuto, poi nel pangrattato e friggetele in padella con olio extra vergine di oliva fino a doratura.

Provate anche a farcire le rondelle a due a due con gorgonzola e procedete come sopra, è un pochino più impegnativa come ricetta ma vi assicuro che vale la pena cimentarsi, era una ricetta tanto gradita al mio babbo, che in stagione non si lasciava scappare la possibilità di eseguire.

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Tradizioni

La burtleina

Ricordo mia nonna che, per fare la burtleina, impastava un pugno di farina con un uovo, un pizzico di sale e del latte fino ad ottenere una pastella fluida. Metteva sul fornello una padella con olio e vi colava dentro quest’impasto che si distribuiva uniformemente da solo coprendone l’intero fondo, friggendo ai lati fino a imbiondire. A quel punto la girava, aiutandosi con due forchette, la faceva dorare anche all’altro lato, e pochi minuti dopo la scolava dall’unto in eccesso e la metteva in tavola. Per accompagnare fette di coppa, tagliate con la “coltella” o il formaggio che lei stessa preparava, quello meno stagionato, più morbido.

Da piccina ho trascorso un intero inverno ospite dei miei nonni materni a Campostrino di Rustigazzo, in Val d’Arda, provincia di Piacenza. Ricordo che la nonna panificava ogni quindici giorni, producendo una decina di “micche” alla volta. Il giorno in cui le faceva si mangiava il “chisolino”, una pagnotta che appiattiva e cuoceva sul davanti del forno. Quando lo apriva la prima volta per controllare e girare il pane, sfornava quella specie di focaccia che, essendo più bassa, era già cotta ed era la prima ad essere gustata. Le micche venivano conservate in un cesto di vimini, protette da una tovaglia e consumate giorno per giorno, via via sempre più dure.

Quando si avvicinava la data della successiva panificazione, il pane si poteva mangiare solo a quadrotti nel caffelatte della colazione, oppure a fette, bagnato nell’acqua e abbrustolito sulla piastra della stufa a legna o ancora nel brodo, bollito fino a diventare una pappa. In alternativa, la nonna preparava la burtleina, che sostituiva appunto il pane.

Spesso la ripropongo in accompagnamento a salumi piacentini o formaggio fresco tipo robiola o crescenza; ha il sapore dell’infanzia, delle radici, della mia nonna.

Salumi piacentini con burtleina e verdure
Salumi piacentini con burtleina e verdure
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Materie prime

I nostri pomodori

Nel piccolo giardino di casa, nel corso degli anni, l’orto ha strappato terreno al cemento e alle poche piante originarie si sono aggiunte erbe aromatiche, frutti di bosco, fiori e, nel periodo estivo, pomodori. Non una vera e propria produzione, dati gli spazi ristretti e inospitali, quanto un divertimento per il piacere di vedere le piantine crescere, fiorire e dare i loro frutti.

Arrivati dalle Americhe meno di 600 anni fa e inizialmente coltivati soltanto a scopo ornamentale, i pomodori sono ormai diventati il simbolo della cucina mediterranea e in particolare un pilastro di quella italiana. Dalla semplice salsa di pomodoro, passando per l’insalata caprese, le ricette regionali (si pensi alla pappa o la panzanella toscane), i sughi rossi, fino a sperimentazioni come gelatine, sorbetti o confit.

Il piacere di gustare i pomodori caldi di sole in insalata o su una bruschetta ripaga generosamente del piccolo impegno preso in primavera. Vale la pena in stagione, oltre ovviamente a consumarli freschi, di prepararne una salsa da conservare per il resto dell’anno: indicativamente, per una porzione di salsa occorrono 250 g di pomodoro crudo.

Non è necessario cimentarsi nella produzione di quintali di pomodoro in una sola volta, potete agevolmente durante l’estate fate la vostra salsa lavorando quattro, massimo cinque chilogrammi per volta. Oltre ad avere un ottimo sugo fresco da gustare al momento, produrrete così qualche vasetto in più per le vostre ricette invernali.

La salsa

Tagliate i pomodori a metà e privateli della parte bianca all’apice, sciacciateli per eliminare in parte l’acqua interna e i semini e metteteli in pentola con sedano, carota, cipolla e basilico. Mettete sul fuoco condendo con olio extra vergine di oliva, sale grosso e un pizzico di pepe. Portate ad ebollizione e cuocete per almeno un’ora, mescolando per evitare che attacchi sul fondo della pentola. Se i pomodori fanno tanta acqua proseguite la cottura per farla evaporare. Passate al passaverdura ed ecco pronta la base del vostro sugo di pomodoro, basterà ripassarlo in padella con oevo aromatizzato con uno spicchio di aglio, peperoncino, se gradito, e un poco di basilico fresco.

L’eccedenza potrà essere conservata in barattoli sterilizzati, con l’aggiunta di una foglia di basilico per ognuno, fatti poi bollire per venti minuti per una migliore durata nel tempo. Potrete così conservarli in luogo buio, fresco ed asciutto per l’inverno.

Ripetendo questa micro produzione più volte durante l’estate, variando e miscelando le tipologie di pomodoro che riuscirete a reperire, creerete una scorta variegata di basi per le vostre ricette invernali. Nell’attesa che ritorni la stagione, avrete a disposizione il sapore e il colore dell’estate.

Curiosità

Avrete sentito dire almeno una volta che “il pomodoro è un frutto, non una verdura”. Come molte bufale virali, questa frase non è completamente falsa, ma contiene una mezza verità: come spiega in questo video il chimico e divulgatore Dario Bressanini, è vero che botanicamente quello che mangiamo della pianta di pomodori è il frutto. Allo stesso modo usiamo in cucina il frutto di zucche e zucchine, le radici delle carote o i semi dei fagioli. La nozione di verdura non è però botanica: è una nozione culturale, basata sulle nostre abitudini alimentari, e per questo varie parti di varie piante possono tutte rientrare nella categoria di verdura se sono accomunate da caratteristiche organolettiche, abitudini culinarie e percezione culturale.

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Tradizioni

Le nostre crostate

Immancabili in apertura della lista dei dolci troviamo “le nostre crostate”, un classico tra i prodotti disponibili anche al banco in salumeria. Un dolce “da credenza”, così definito poiché può essere conservato a temperatura ambiente, semplicemente appoggiato appunto sulla credenza, magari coperto da una campana in vetro che faccia bella mostra della torta proteggendola dall’ambiente esterno.

Le ricette delle nostre crostate sono state messe a punto negli anni ottanta del secolo scorso. Attraverso prove di calibratura degli ingredienti ed assaggi comparati, avendo in mente un ideale palatabilità le abbiamo rese burrose, equilibrate nella dolcezza e friabili.

Gli ingredienti nel tempo selezionati sono i classici della ricetta:

  • farina tipo 0 macinata a pietra;
  • burro di panna fresca di centrifuga;
  • zucchero semolato;
  • uova;
  • vaniglia ( in pasta, come estratto o semi ricavati dalla bacca);
  • marmellata ( nella foto albicocca).

Questo per quel che riguarda la nostra crostata con marmellata. Con aggiunta di amaretti, brandy, mandorle, uova, zucchero e marmellata di ciliegie prepariamo la crostata “Bocca di dama”, altro classico immancabile.

Ho trovato questa ricetta su un numero della Cucina Italiana del 1963, anno in cui la mia mamma collezionò e fece rilegare in due volumi i 12 numeri della rivista, volumi che hanno accompagnato come romanzi la scoperta della mia passione per la cucina quando avevo più o meno dieci anni e che conservo gelosamente, ancora scorrendoli per trovare ispirazione.

Proprio in uno di questi momenti “amarcord” degli anni ’80, durante le sperimentazione per la messa a punto della mia versione crostata, mi sono imbattuta in questa torta e l’ho adattata usando la mia variante della pasta frolla, ma seguendo la ricetta della rivista per il ripieno, con aggiunta di armelline per sottolineare meglio il sapore di mandorla e sostituendo le mandorle macinate con le mandorle a scaglie per una migliore estetica del dolce.

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Tradizioni

Pisarei e fasö

Narra la leggenda che le suocere piacentine giudicassero le nuore dalla presenza o meno, sul loro pollice, di un “calletto” a indicare la familiarità delle stesse con il confezionamento dei tipici gnocchetti: i pisarei.

Trattasi di un formato di pasta fatta in casa con farina e pangrattato, ricetta povera, di recupero, che diventa piatto unico nell’abbinamento al suo sugo d’elezione: un umido di fagioli.

Ogni famiglia detiene la propria ricetta diversificata per le dosi, il liquido utilizzato per l’impasto, la presenza di uovo per legare, la varietà dei fagioli impiegati e gli aromi aggiunti.

Contrariamente al pensare comune, non è una piatto vegetariano: anche se non si vede, quasi sicuramente il sugo contiene grasso di maiale, in forma di lardo pestato, gola o pancetta.

Ricordi di nonna Adelina

La ricetta di famiglia, tramandatami dalla mia nonna materna Adele, prevede l’utilizzo del latte tiepido per ammollare il pane, la proporzione tra farina e pane di 3:2 e l’aggiunta di un uovo per la consistenza. Il sugo per condirli contiene pancetta coppata come parte grassa, prezzemolo e basilico come aromi, pomodori pelati spezzettati per una colorazione non eccessiva dell’intingolo. Personalmente ho sostituito il lardo pestato con olio extra vergine di oliva e gioco forza scelgo i fagioli borlotti per la mia versione della ricetta della nonna; in stagione il fagiolo borlotto di Gambolò o il fagiolo fresco, diversamente il secco.

Mia nonna coltivava da sé una varietà di fagioli che non mi è più capitato di vedere dall’infanzia: ho un ricordo vivido della sgranatura dei fagioli secchi e di lei che selezionava i migliori per utilizzarli come semente l’anno successivo. Il risultato finale del piatto ha una consistenza a metà tra una minestra e una pasta asciutta, mi piace servirla con il cucchiaio perché trovo che l’impatto gustativo sia migliore, anche se potrebbe bastare la forchetta.

Con il vino

L’abbinamento ideale è con un Gutturnio, per rispettare la regionalità, personalmente lo preferisco frizzante, trovo pulisca meglio il palato. Potendo il vino superare in forza il piatto, anche un Gutturnio fermo, magari riserva, può essere adatto.

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Serate tematiche

Menù piacentino

Dal 27 agosto, per la riapertura, vi propongo un menù in omaggio alle mie radici, i colli piacentini.

  • Burtleina con salumi e verdure
  • Torta di patate
  • Pisarei e fasö ricetta della nonna Adelina
  • Coppa di maiale arrosto
  • Crostata con marmellata di prugne
  • Ciambella alle mandorle con crema al mascarpone

In abbinamento ai vini dell’azienda agricola Villa Teresa (San Giorgio) e Cardinali Giulio (Castell’Arquato)

Salumi piacentini con burtleina
Salumi piacentini con burtleina
Torta di patate con fonduta di robiola
Torta di patate con fonduta di robiola
Piatto di pisarei e fasö
Pisarei e fasö
Coppa arrosto con patate
Coppa arrosto con patate
Crostata con marmellata di prugne e ciambellone alle mandorle con crema al mascarpone e Grand Marnier
Crostata con marmellata di prugne e ciambellone alle mandorle con crema al mascarpone e Grand Marnier
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Comunicazioni

Riapertura 27 agosto

Vi siamo mancati? Chez Nadi torna ad accogliervi da giovedì prossimo, 27 agosto, e per bene iniziare durante la prima settimana proporrà un menù ispirato alle nostre radici.