Materia prima versatile, il riso, nelle sue diverse tipologie, è nel nostro DNA di lomellini. Parte integrante anche del nostro paesaggio, quel “mare a quadretti” che si specchia nel nostro cielo di Lombardia “così bello quando è bello” di manzoniana memoria. E Manzoni ha avuto modo sicuramente di ammirare lo spettacolo delle risaie, avendo soggiornato a Cassolnovo, dove, nella villa in cui fu ospite, gli è ancora tributata una stanza.
Principe di tutti i menù lomellini, casalinghi o professionali, non c’è ricorrenza o stagione che non abbia il suo risotto. Per non parlare delle minestre, minestrine e minestrone. È materia anche per dolci, anche se più conosciuti di quelli lomellini sono i pasticcini di riso toscani o le torte di riso emiliane.
Tipico vigevanese è un piatto né dolce né salato, che ricorda i porridge anglosassoni, il ris e latt. Ogni famiglia aveva la sua versione: la differenza stava nel pizzico di sale o di zucchero o di cannella, nella consistenza finale più o meno brodosa, nell’aggiunta di acqua al latte; variazioni che paiono banali ma che cambiano il profilo organolettico di questo comfort food prettamente serale.
Di riso si è detto e scritto parecchio, mi preme ricordare la manifestazione che si svolse a Vigevano per qualche edizione, curata da Slow Food, Rice, esperimento riuscito di mettere il riso al centro di eventi e dibattiti, non tralasciando la parte gastronomica, enoica e artistica.
Quale riso?
Fondamentale per imparare a cucinare propriamente questa risorsa è conoscerne le principali categorie, per come si comportano in cottura e per come influenzano il risultato finale. Sarebbe opportuno acquistare il riso in almeno due tipologie, partendo dal presupposto che qui vi parlo delle varietà occidentali che derivano dall’Oryza sativa subsp. japonica.
Merceologicamente, il nostro riso è suddiviso in quattro categorie in base al suo aspetto fisico, alla forma cioè dei suoi chicchi. Abbiamo riso comune, semifino, fino, superfino. Viene poi commercializzato con il nome varietale: Originario, Rosa Marchetti, Ribe, Carnaroli per esempio. Non è che non possiate usare un riso qualunque di questi per fare qualsiasi ricetta, ma ovviamente il risultato cambierà.
Mio papà, lomellino delle cascine, utilizzava l’originario, che è un riso comune, ricco di amido, per fare il risotto “della domenica” con salsiccia e zafferano. Era un risotto “fisso” il cucchiaio ci stava in piedi, ma bello sgranato e croccante, con la crosticina nella pentola “della termica”.
Da Chez Nadi il risotto cambia ogni settimana, il riso però è in prevalenza, salvo puntate sporadiche su altre varietà o produttori, il Carnaroli da Carnaroli del Pavese dell’azienda agricola Domenico e Giuseppe Carnevale Giampaolo.
Ha dimostrato nel tempo una costanza qualitativa e una resa organolettica eccellenti, con ottima tenuta in cottura e sapore pieno ma delicato che lo rende adatto a tutti gli accostamenti, dai classici agli inusuali.
È difficile in Lomellina consigliare un produttore, ognuno ha un riferimento per conoscenza diretta o magari parentela. Se non è il vostro caso, lasciate perdere il riso generico sullo scaffale del supermercato: prendetevi il tempo per visitare qualche mercatino o qualche cascina, cucinate, assaggiate e giudicate.
Cercate di capire i metodi di produzione, l’etica del produttore, visitate le risaie nelle diverse stagioni, privilegiate le coltivazioni etiche e sostenibili.
Cucinate riso più volte alla settimana, provatelo in diverse cotture valutando resa e consistenze. Abbinatelo per tradizione e sperimentate: il risotto può essere una base neutra che esalta ingredienti diversi.